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GHOSTWIRE TOKYO: LA RECENSIONE

 

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A chiusura di un trimestre eccezionale per quanto riguarda le esclusive PlayStation, ecco finalmente giungere il tanto atteso Ghostwire Tokyo, il nuovo gioco dei Tango Gameworks in esclusiva temporale per PlayStation 5 e PC! Il perché delle buone aspettative createsi attorno al titolo è presto detto: la software house sotto l'ala di Bethesda è capitanata niente popodimeno che dal leggendario director Shinji Mikami, padre della serie Resident Evil! Ma a lui si deve anche, sempre col suo studio Tango, la serie di The Evil Within, non certo campione di incassi, ma divenuta un grande cult per gli appassionati dei survival horror.

Anche il nuovo gioco del famigerato director pone le basi per un’esperienza horror-based, tuttavia al contempo, esce immediatamente dalla comfort zone per cambiare totalmente le carte in tavola, prendendo le distanze da tutti i lavori precedenti. Il risultato è un qualcosa di molto abbagliante e al contempo straniante, sulle prime, finalmente nuovo, ma appunto anche molto "sperimentale" e grezzo sia nel bene che nel male.

Andiamo adesso ad analizzare nel dettaglio il cuore della produzione, per capire quanto questo esperimento sia riuscito.

Partiamo subito col contestualizzare l'opera, in particolare con l'unico punto di contatto con i precedenti lavori di Mikami, come dicevamo, infatti, la matrice è sempre quella horror; anche se come stile e tematiche dà spunti molto più originali e freschi rispetto al passato. Inizialmente pensato come il terzo capitolo della serie di The Evil Within, per poi trasformarsi in qualcosa di diverso, il titolo ha avuto una gestazione abbastanza movimentata e difficoltosa, che tuttavia ha dato origine ad un ibrido molto ispirato ed interessante. Ghostwire mette in scena tutto il repertorio del “folklore shinto- orrorifico” di matrice Giapponese. Con un preambolo intrigante, che non staremo qui a spoilerarvi, dato che la storia è uno dei punti forti del gioco, scenderà una misteriosa “nebbia dimensionale” su Tokyo e gran parte della popolazione scomparirà; rimpiazzata da ogni genere di spirito e demone Yokai della cultura del Sol Levante. In questo contesto sovrannaturale impersoneremo Akito, un normalissimo ragazzo del quartiere di Shibuya, che tuttavia finisce per essere posseduto dallo spirito di un investigatore del paranormale, KK. Ai “due” l’arduo compito di esplorare e scoprire il mistero che si cela dietro gli sconcertanti eventi accaduti in città.

 

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Mettiamolo immediatamente nero su bianco: la storia e l’atmosfera sono tutto in questo gioco, soprattutto la seconda, tra l’altro resa alla perfezione da una Tokyo tanto spettrale quanto abbagliante, con i suoi numerosi neon e riflessi, impreziositi dal ray-tracing e da un ottimo campionamento sonoro. Ed è proprio lei la protagonista indiscussa del gioco, la carismatica città, che gode di una fedeltà nei dettagli e di una reimmaginazione a tema sovrannaturale che lascia a bocca aperta. Ancora una volta l’art design Giapponese, così come è stato per Elden Ring, fa scuola, e riesce abbondantemente a sopperire le mancanze e l’arretratezza del motore di gioco. Il tutto è riempito egregiamente da  un vasto e differenziato “parco-nemici”; come dicevamo in apertura, ci sarà ogni tipo di spirito e di demone, ognuno con il suo move-set offensivo e con un ispiratissimo quanto inquietante design estetico.

Come avrete capito, a fare da contraltare all’ispirato lato artistico, c’è un lato tecnico purtroppo zoppicante: la conta poligonale di personaggi e nemici è abbastanza basilare; abbiamo purtroppo un frame-rate fin troppo “dinamico”, che presta il fianco a qualche calo di troppo. Infine persiste una non simpatica problematica di tearing che rende l’immagine sporca e “spezzata”.

Per cercare di sopperire a tutto ciò, ci vengono incontro su Playstation 5 ben 6 configurazioni grafiche possibili! Da quelle che favoriscono il frame-rate, a quelle che impreziosiscono con la presenza del Ray-tracing. Uno sforzo da apprezzare, ma che tuttavia sottolinea la difficoltà di riuscire a limare e ad ottimizzare al meglio il prodotto in tutte le sue sfaccettature tecniche.

 

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Passiamo ora al core-gameplay del gioco: che tipo di esperienza è esattamente Ghostwire e com’è pad alla mano?

State sereni, vi dirò da subito che il titolo coinvolge e diverte per gran parte dell’avventura, e volendo andare dritti al finale, non si impiegherà più di una quindicina di ore; contemplando anche le secondarie ed attività collaterali, arriverete tranquillamente alla trentina.

Messo in chiaro ciò, ci sentiamo di descrivere e categorizzare il titolo come un FPS-Open World a base di magie. Come armi useremo le “nostre mani”, esattamente, se vi fosse capitato di vedere qualche trailer del gioco, avrete sicuramente notato la gestualità di cui il protagonista fa ampio uso per creare le sue tecniche.

Per farvi capire, siamo molto vicini alle movenze manuali adottate dai ninja di Naruto. In particolare, la coreografica danza delle mani del nostro protagonista, viene definita come “Tessitura Eterea”. Ad ogni gestualità corrisponderà una tecnica, che avrà origine dall’Etere, l’energia spirituale, attraverso la quale il protagonista sarà capace di elaborare tali incantesimi. Questi si dividono in tre tipologie: vento, acqua e fuoco. Ognuno avrà degli effetti e movenze diverse, andando ad intaccare le specifiche debolezze dei nemici. Il feeling visivo restituito sarà splendidamente ipnotico, complice l’ottima e fluida animazione delle varie tecniche e tutti gli effetti che ne conseguono, fra esplosioni di luci e colori. L’annientamento del nemico si concluderà estraendogli il nucleo spiritico, (fonte di mana che ricaricherà le nostre magie e di punti esperienza, sotto forma di spiritelli, per potenziarci); rispedendolo così nel mondo dei morti. A valorizzare ulteriormente il tutto ci pensa, ancora una volta, l’ottima implementazione del Dual-Sense,  che col suo feedback aptico  trasmette adeguatamente il movimento delle mani e la potenza dei nostri attacchi. I nemici, animati da un’intelligenza artificiale e da pattern d’attacco abbastanza convincenti, tenderanno ad accerchiarci, a colpirci da lontano, ma al contempo ad avvicinarsi sempre più a noi, ed il nostro compito sarà di restarne alla larga per poter sfruttare il combattimento dalla distanza. Il tutto avverrà con una difficoltà delle battaglie, crescente, ma mai frustrante. Segnaliamo anche delle fasi stealth molto basilari, per sorprendere i nemici alle spalle, le quali aggiungono ben poco all’esperienza, se non quella di attirare su di sé meno nemici possibili dopo un’uccisione.

 

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Oltre a sconfiggere i vari spiriti, essendo un open world nella sua accezione più classica e “vecchia” del genere, avremo modo di esplorare Tokyo in lungo e in largo: una mappa ben congeniata, contenuta e non dispersiva, ricca di segreti e compiti secondari. Inizialmente saremo a piedi, ma presto ci verrà data la possibilità di spostarci velocemente, grazie ad una sorta di “volo psichico”, che potremo sfruttare agganciandoci ai demoni presenti sulle cime dei palazzi. La città è divisa in macro aree, “sbloccabili” purificando i numerosi  portali Torii, (simili per concept ed effetti alle classiche torri di matrice Ubisoft); da qui avremo accesso a tutta una serie di missioni secondarie, basate su di una buona narrativa anche se molto corte ed elementari nello svolgimento. Purtroppo l’open world, si mostra presto per quello che è, un mero orpello, che sì, ci restituisce una splendida ambientazione estetica, ricca di lore e di fascino, tuttavia non riesce a brillare per quantità e qualità delle sue attività collaterali, che finiscono per essere fin troppo ripetitive e derivative per il genere, un banale annacquamento di contenuti, senza nessun guizzo creativo in particolare. Emblematico è il fatto che, spesso, ci ritroveremo a vagare per la mappa unicamente per ricaricarci di mana, colpendo gli “oggetti posseduti” sparsi per l’ambientazione. Altro difetto è rappresentato dalla crescita del personaggio, fin troppo sbrigativa e scomoda nel processo; e con un senso di progressione davvero minimo, che sì, potenzia incantesimi e talismani, ma restituisce  una sensazione e soddisfazione di potenziamento molto blanda.

Tutto ciò a rimarcare come il titolo funzioni perfettamente nella sua anima lineare, ossia durante l’interessante e diversificata campagna principale, ma perda carattere e diventi inutilmente annacquato, ripetitivo e prolisso in un open world che ha più il sapore di un’esigenza commerciale e di moda del momento, che di un’aggiunta e necessità di game design.

Possiamo concludere, quindi, che per quanto interessante, originale e ficcante, l’esperimento di Mikami si possa dir riuscito solo a metà. Da un lato ambientazione, storia, atmosfera ed art design di alto livello, coadiuvate da un brillante ed originale gameplay; dall’altro un comparto tecnico grezzo, un open world pigro e ripetitivo ed un sistema di crescita blando, minano un’esperienza che altrimenti sarebbe stata una perla per il genere. Rimane tuttavia una ventata d’aria fresca per il mondo dei videogiochi ed un potenziale cult e sleeper hit proprio come lo è stata la precedente serie di The Evil Within.

Di mio conto non posso che stra-consigliarvelo, bisognerebbe sempre premiare e dare una possibilità a chi prova a fare qualcosa di diverso, sperimentando; soprattutto se quel qualcuno si chiama Mikami. Sono sicuro che se vi lascerete guidare ed abbagliare dalla sua campagna principale, ve ne innamorerete. Quindi vagate tranquilli, le strade desolate della città sono tutte per voi, se adorate la cultura giapponese ed il suo modo di intendere l’Horror, con una buona dose di Yokai moderni, fatevi possedere anche voi dallo spirito di KK e liberate Tokyo dal male!

 

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VOTO: 7.8

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